martedì 6 novembre 2012

Pontypool - la recensione -

Le parole ti uccidono. Immaginate che alcune semplici parole siano capaci di renderci folli. Pensate per un attimo che a trasformarci in famelici zombie non sia un virus di laboratorio, ma la forma di comunicazione che usiamo comunemente per rappresentare agli altri un'idea.
È sufficiente pronunciare una parola e comprenderne il significato perché il seme della follia attecchisca e si faccia strada nella nostra testa. Si comincia ripetendo costantemente la stessa parola e - passando per frasi sconnesse - si finisce col diventare aggressivi, violenti, cannibali.

Questa è la sconcertante idea su cui si basa Pontypool, film uscito nel 2009 e diretto da Bruce McDonald, su sceneggiatura di Tony Burgess (che poi è anche l'autore del romanzo Pontypool Changes Everything da cui è tratto il film).

Bruce McDonald confeziona un film psicologico con una regia asciutta e una buona fotografia, è un horror costruito tutto sul "non vedo". 
Se è splatter quello che cercate, state lontano da questo film: Pontypool concede poche scene di schifo sanguinolento, ma è carico di tensione.
E il fatto che la parola sia la causa dell'infezione diffusasi nella fredda cittadina di Pontypool, suscita l'orrore; quella violenta sensazione di raccapriccio e timore che ci spinge all'azione o che ci paralizza. Non è con il sangue che il film impressiona. Non è il colpo di basso improvviso proveniente dal subwoofer che ci fa trasalire. È la perturbante verità che noi stessi siamo il virus.

Gli eventi si svolgono quasi tutti in una stazione radio, nel sotterraneo di un vecchia chiesa dell'Ontario. Grant Mazzy è il geniale ed eccentrico speaker radiofonico che accompagna lo spettatore verso un epilogo a dir poco azzardato. 
In breve, Pontypool non mi è piaciuto. Per niente.

È un film doppiato in modo impeccabile e recitato meglio. Tutta la pellicola regge per 93 minuti grazie al volto e alle espressioni di Stephen McHattie (Grant Mazzy) e alla fine del film sono rimasto letteralmente esterrefatto dal modo in cui un'idea originale e interessante possa sgretolarsi così facilmente.
Non mi stupisco che lo script sia stato adattato dal romanzo in appena 48 ore. E giuro che è vero, lo ha detto il regista in una intervista alla stampa.
Ma il punto è un altro. L'inquietudine e l'ansia che Pontypool trasmette si perdono via via che la storia volge all'epilogo. L'humor nero, mescolato al grottesco, prende il sopravvento fino a sfociare nella scena assurda alla fine dei titoli di coda.

A conti fatti, tutti gli elementi psicologici, linguistici e filosofici non bastano per salvare questo film. 
E lo so cosa state per dire: "è tutta una metafora". Sì, una metafora di un film di merda.

P.S. Quasi la totalità delle recensioni che trovate su internet sono positive. (7/10 è il voto più basso) 
E non parlo solo di quelle italiane. Ma c'è un motivo preciso: dopo avere visto questo film, si diventa sadici e la tentazione di consigliarlo agli amici - ignari di quello che gli aspetta - è troppo forte. 
Pontypool è la classica patacca con l'aggravante che aveva il potenziale per essere un ottimo film. 
È stato girato con un budget di appena un milione e mezzo di dollari e ne ha incassati 32.000 e spiccioli. Ci sarà un motivo.

P.P.S. Per favore, guardatelo. Quantomeno per parlarne insieme.

Stephen McHattie è bravo.
La metafora del film.
La morale del film.

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